Elementi costitutivi dell’azione di mobbing

Per mobbing deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica e con l’ulteriore conseguenza che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; d) dalla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (Cons. Stato, sez. IV, 6.8.2013, n.4135; sez. VI, 12.3.2012, n.1388). Si è, poi, ulteriormente precisato che l’azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente, deve essere posta in essere con una serie prolungata di atti e di comportamenti e deve avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi (Cons. Stato, sez. IV, 19.3.2013, n. 1609).
Sotto il profilo del rilievo del fattore psicologico del datore di lavoro, la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell’enucleazione del mobbing (Cons. Stato, sez. IV, 16.2.2012, n. 815).
Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, la situazione denunciata, pur rivelando una certa discontinuità nello sviluppo della carriera, non presenta, tuttavia, quegli indefettibili caratteri di pervicace, continuativa e sistematica volontà dell’amministrazione di discriminare, emarginare ed estromettere il dipendente dalla vita lavorativa (nel che si risolve il mobbing), dimostrando, al più, una fisiologica, ma per nulla illecita, gestione sfavorevole ed insoddisfacente dell’affidamento degli incarichi attribuitigli, così come accade ordinariamente nelle carriere della maggior parte dei dirigenti pubblici.

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