Lotta alla ludopatia: lecito imporre distanze di sicurezza minime dai luoghi sensibili

La questione sottoposta all’esame della Corte Costituzionale verte su una misura di prevenzione logistica della dipendenza da gioco d’azzardo che, dopo essere stata sperimentata a livello locale tramite regolamenti e ordinanze di autorità comunali, è stata adottata negli ultimi anni a livello legislativo da larga parte delle Regioni. Si tratta della previsione di distanze minime delle sale da gioco rispetto a luoghi cosiddetti “sensibili”: frequentati, cioè, da categorie di soggetti che si presumono particolarmente vulnerabili di fronte alla tentazione del gioco d’azzardo.

La Sentenza riguarda in particolare la legittimità dell’art. 7 della legge 13 dicembre 2013, n. 43, della Regione Puglia. Il testo reca “Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico” e, in particolare, vieta l’autorizzazione per l’attività di sale da gioco e per l’installazione di slot machine in esercizi a meno di 500m di distanza a luoghi ritenuti sensibili.

Secondo il giudice del Tribunale la norma censurata violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in violando il principio fondamentale in materia di «tutela della salute» espresso dall’art. 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” (convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189). La norma statale prevede, a fini di prevenzione della cosiddetta ludopatia, la ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante slot machines ubicati nelle vicinanze di determinati luoghi “sensibili”. Tale ricollocazione non avrebbe effetto retroattivo e sarebbe subordinata ad un procedimento di pianificazione che coinvolge plurimi soggetti istituzionali: procedimento che la legge regionale in questione, introducendo una disciplina immediatamente operativa, avrebbe completamente omesso.

Questo quando prevede la norma regionale: fuori dagli apparecchi per il gioco di ridotta pericolosità (individuati dall’art. 110 del comma 7 del TULPS) “l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette”.

In questo caso la norma è legittima poiché si muove su un piano distinto da quella del TULPS: “per quanto si è detto, essa non mira a contrastare i fenomeni criminosi e le turbative dell’ordine pubblico collegati al mondo del gioco e delle scommesse, ma si preoccupa, piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, segnatamente in termini di prevenzione di forme di gioco cosiddetto compulsivo. In quest’ottica, la circostanza che l’autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l’esercizio di una attività pure autorizzata dal questore – come nel caso oggetto del giudizio principale – non implica alcuna interferenza con le diverse valutazioni demandate all’autorità di pubblica sicurezza.”

Consulta la Sentenza n. 108 dell’11 maggio 2017, Corte Costituzionale

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