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In assenza di identificazione I.P. il procedimento per diffamazione può procedere sulla base delle risultanze investigative

La quinta sezione penale della Corte di Cassazione pone attenzione su quello che, fino ad oggi, è considerato un grosso limite nell'attività investigativa, finalizzata ad accertare il reato ex. art. 595 C.P. (diffamazione) nella fattispecie aggravata prevista nel comma terzo. Malgrado le risultanze investigative, basate sull'attività di esplorazione delle fonti aperte, OSINT, portassero all'identificazione dei soggetti autori delle "pubblicazioni  diffamatorie", la mancata collaborazione da parte dei social nel fornire gli indirizzi I.P. (internet protocol adress) ha fino ad oggi vanificato il lavoro dei cyberinvestigatori. Questa sentenza apre di fatto  un panorama di maggior valorizzazione dell'operato degli inquirenti che, dopo la ricostruzione plausibile di un chiaro quadro accusatorio, si sono visti fino ad oggi bloccare i procedimenti, sulla base del mancato riconoscimento come reato, da parte della legislazione statunitense, della diffamazione a mezzo social. Considerando che la maggior parte di tali reati avviene per tramite della nota piattaforma Facebook, e che la stessa soggiace alla normativa U.S.A., la mancata collaborazione d'oltreoceano ha finora spinto verso l'archiviazione numerosi procedimenti, assicurando impunità a coloro che si sono macchiati di comportamenti antigiuridici, classificati e perseguiti dal nostro sistema legislativo, quali reati verso la persona.

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