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Reato di contraffazione: è punibile anche l’utilizzo della figura senza marchio. Il caso della “Vespa”
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 13078 del 17 marzo, interviene in un caso di ricorso contro una condanna per commercio di prodotti con segni falsi

Commerciava souvenir (portachiavi, calamite, magliette e così via) riproducenti l’immagine dello storico scooter “Vespa”. Il materiale contraffatto, una volta scoperto, è stato sequestrato con la prospettiva di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 474-bis.

La difesa ruota intorno alla differenza fra “marchio” e “prodotto”: le imitazioni riportate sul merchandising venduto dall’imputato non riportano in alcun luogo il marchio, come contestato. Si tratta invece di imitazioni della figura e della forma, adatte a causare una confusione fra prodotti, oggetti, ma non tra marchi. Inoltre non sarebbe lecito presumere, come hanno fatto i giudici, che qualunque operatore commerciale sia a conoscenza della protezione posta sul marchio “Vespa”: l’imputato poteva non sapere dell’esistenza dello scooter o non sapere che i suoi prodotti si ispirassero alla sua figura (a prova di ciò viene indicato il prezzo di vendita dei souvenir, vicino ai 2€, ben poco per un prodotto “marchiato”).

La merce è contraffatta: basta riprodurre la figura distintiva

I giudici respingono il ricorso. Per integrare il reato di cui all’art. 474 del Codice Penale non è necessario riprodurre un marchio o logo distintivo, almeno nei casi in cui la figura stessa costituisca marchio o segno distintivo (come nel caso dell’inconfondibile “Vespa”). La riproduzione del marchio non è quindi indispensabile al fine della configurazioen del reato. Allo stesso modo non è necessario che i giudici controllino di persona se gli oggetti sequestrati siano o meno “contraffatti”, come lamentato dalla difesa sotto un altro dei motivi di ricorso. Le toghe dispongono infatti dei verbali redatti dagli agenti, che in questo caso indicavano esplicitamente che i beni sequestrati raffiguravano “il modello registrato figurativo Vespa”, lasciando poco spazio ad equivoci.

Quanto alla nozione relativa alla conoscenza del marchio, i giudici respingono l’ipotesi sostenuta dalla difesa: data la larga diffusione del motoveicolo in questione, è ragionevole ritenere che la sua esistenza fosse nota anche all’imputato.

Consulta la Sentenza n. 13078 del 17 marzo, Corte di Cassazione


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