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Reati edilizi - Mancata acquisizione del permesso di costruire
È illegittimo l’ordine di demolizione di un muretto divisorio posto su di un lato di un lotto di terreno realizzato senza la previa acquisizione del permesso di costruire, considerato che più che alla tipologia di intervento edilizio occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio - Consiglio di Stato, 4 gennaio 2016

Con la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie (es. Cons. Stato, sez. VI, 4.7.2014, n. 3408). Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della legge n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, sez. IV, 3.5.2011, n. 2621).

2. In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della Dia (in seguito: Scia) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo ‑ invece ‑ il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia. Nel caso di specie, l’impatto sortito dal muro divisorio di cui si tratta sul piano urbanistico-edilizio risulta di scarsa incidenza sole che si consideri che ‑ come emerge dal materiale fotografico acquisito ‑ lo stesso manufatto supera di poco (al di là della sua maggiore o minore percezione visiva a seconda del versante prospettico) il piano di campagna; e che l’effettiva funzione divisoria dei distinti lotti di proprietà è in concreto assicurata da una rete metallica infissa sul predetto muro. Nel caso in esame, pertanto, il manufatto non rappresenta un’opera comportante un’apprezzabile trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio: tanto più se si considera che il giudizio è necessariamente relazionale rispetto al concreto contesto e che, nella specie, queste opere sono state realizzate contestualmente ed in funzione complementare a quelle di urbanizzazione di una vasto comparto a destinazione artigianale-industriale. La rilevanza di cui si verte, ai fini della rammentata capacità trasformativa, va invero considerata in modo proporzionale: cioè dopo essere stata rapportata non alla consistenza in assoluto dell’innovazione, bensì alla condizione del contesto in cui è inserita. Sicché un manufatto di minimo impatto che in un certo contesto può risultare necessitante del massimo titolo edilizio, può non risultarlo altrove. E non vi è dubbio che un contesto come quello di un comparto a destinazione artigianale-industriale attenuti il rilievo di fatto che avrebbe la medesima opera in un contesto abitativo. Da quanto sopra consegue che il muro divisorio di che trattasi, in quanto assoggettato a semplice Dia (ora Scia), non era passibile di ordinanza di demolizione, atteso che per le opere sottoposte a Dia la sanzione applicabile è unicamente la sanzione pecuniaria (cfr. art. 37 t.u. cit., che fa salve le ipotesi, qui non ricorrenti, degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona tipizzata come “A” dallo strumento urbanistico).

Vedi il testo della sentenza

 

 

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