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Terra dei Fuochi, il Governo approva il decreto
Il Consiglio di Ministri ha approvato un’azione di salvaguardia della cd. “terra dei fuochi” , territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta anche con l'introduzione del reato di combustione illecita dei rifiuti

La seduta n. 39 del Consiglio di Ministri del 3.12.2013, cui per le note problematiche territoriali ha partecipato anche il Presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, fra le tante deliberazioni ha approvato un’azione di salvaguardia della cd. “terra dei fuochi”[1], territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta che inizia ad assurgere anche quale emergenza sanitaria.

«Oggi per la prima volta le Istituzioni Nazionali affrontano l’emergenza della terra dei fuochi. Lo si fa con un intervento coordinato tra i vari Ministeri e con la Regione Campania e da tutti i punti di vista: ambientale, sanitario, del territorio e in un’ottica di rilancio»: sono state queste le parole del Presidente Letta con cui si è presentato l’ambizioso progetto.

Quali sono le azioni che il Governo Italiano ha ritenuto di intraprendere prendendo spunto dall’emergenza di questo territorio?

Con la premessa che non tutte hanno ricadute dirette e immediate sul lavoro della Polizia Locale, in chiave di controllo e repressiva, il Governo ha ritenuto indispensabile acquisire una fotografia ufficiale della situazione attraverso una mappatura delle aree che individui quelle interessate da fenomeni di inquinamento tali da rendere necessaria la limitazione della coltivazione, con l’obiettivo di far fronte al gravissimo allarme sociale (con pesanti ricadute economiche) provocato dalla diffusione di notizie sullo stato di contaminazione dei terreni agricoli campani e su eventuali pericoli per la salute umana di alcuni prodotti agroalimentari di quella regione.

Oppure ancora verrà costituito un Comitato Interministeriale e una Commissione con il compito di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela da realizzarsi nell’area della regione Campania, con lo scopo di semplificare e accelerare le procedure per l’attuazione degli interventi di bonifica dei territori.

Due questioni sembrano avere invece maggiore appeal per la Polizia Locale. Da un lato viene esteso l’obbligo informativo previsto dall’art. 129 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale[2] a fattispecie di reato in cui i fatti comportino delle conseguenze pregiudizievoli sull’ambiente, sulla salute e sulla qualità dei prodotti agroalimentari al fine di favorire un corretto raccordo tra l’Autorità giudiziaria e le amministrazioni competenti ad adottare i provvedimenti eventualmente ritenuti opportuni e necessari.

Dall’altro si è introdotto il reato di combustione illecita dei rifiuti:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni.

Se i delitti sono commessi nell'ambito dell'attività di un'impresa, o comunque di un'attività organizzata, la pena é aumentata di un terzo.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti.

Se per la commissione dei delitti sono utilizzati mezzi di trasporto, si applica la confisca. Alla sentenza di condanna consegue la confisca dell'area sulla quale è commesso il reato, se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.

In realtà la portata innovativa della introduzione di questa fattispecie criminosa, anch’essa da inserire nelle dinamiche delle norme definite “carcerogene” dal Presidente del Senato Grasso, è piuttosto relativa. Infatti, ad eccezione di aver previsto il fatto come un delitto (anziché una contravvenzione com’è stato fino ad ora) punito nel quantum con una misura astrattamente in grado di consentire l’applicazione di misure cautelari, la condotta di “bruciamento di rifiuti non autorizzata” era già un reato e (ergo) patrimonio consolidato della nostra giurisprudenza penale!

Che l’illecita combustione dei rifiuti fosse una violazione – nella sostanza e nella prassi applicativa – priva di rilevanza penale come è stato presentato direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri non è per niente condivisibile. Infatti l’art. 256 del D. Lgs. 152/2006 punisce come contravvenzione (arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi, con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi) la gestione non autorizzata di rifiuti, comprendente fra le tante attività quelle di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti.

Orbene che l’abbruciamento fosse un modo di smaltire i rifiuti era chiaramente indicato nell’allegato B alla parte quarta del decreto in questione (voce D10). Non solo. La Cassazione già nel 2008 aveva stabilito che “In tema di gestione dei rifiuti, l'eliminazione mediante incenerimento di rami d'alberi tagliati non usufruibili in processi produttivi integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi (art. 256, comma primo, lett. a), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), in quanto tale materiale non costituisce materia prima secondaria riutilizzata in settori produttivi diversi senza pregiudizio per l'ambiente”[3].

Idem per la confisca del mezzo usato per il trasporto di rifiuti: la condotta costituiva già reato.

Si aggiunga poi che non v’è traccia alcuna che questo delitto di nuova introduzione (si dovrà attendere la pubblica in G.U.) sia inserito tra quelli che ricadono nell’applicazione del D. Lgs. 231/2001 (Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato), di fatto uno strumento efficace in chiave dissuasivo / repressiva per le consistenti sanzioni amministrative che vengono applicate dall’autorità giudiziaria ai responsabili.

Ci si augura che qualcuno si accorga di questa implicazione, non comprendendosi altrimenti una assenza ingiustificata e irragionevole.



[1] Così chiamata per la presenza di roghi ai rifiuti.

[2] 1. Quando esercita l'azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l'autorità da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione. Quando si tratta di personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, ne dà comunicazione anche al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato. 2. Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'Ordinario della diocesi a cui appartiene l'imputato. 3. Quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione. 3-bis. Il pubblico ministero invia la informazione contenente la indicazione delle norme di legge che si assumono violate anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare.

[3] Cass. pen. Sez. III Sent., 04-11-2008, n. 46213 (rv. 241790), CED Cassazione, 2008.


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