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“Fermi tutti! Guardia di finanza”. Quando il ladro si finge finanziere…
Corte di Cassazione, 28389/2017: costringere qualcuno a compiere o omettere atti, indipendentemente dall’utilizzo su di lui di vera e propria forza fisica, è violenza

I fatti: tre individui, qualificatisi quali appartenenti alla Guardia di Finanza, corpo del quale indossavano le relative pettorine con il logo, giunti nei pressi della filiale a bordo di un'auto avente colori segni distintivi della Guardia di Finanza, simulavano un controllo presso un ufficio bancario e procedevano alla chiusura temporanea della Banca.

Si facevano quindi consegnare dagli impiegati della banca il denaro delle loro casse e indicavano agli impiegati di inserire codici per l'apertura della cassaforte, dalla quale veniva prelevato il denaro.

Gli impiegati hanno riferito di non aver visto armi e di non essere neanche stati minacciati. Gli ordini sarebbero stati eseguiti confidando sul fatto che i rapinatori fossero effettivamente membri della Guardia di Finanza.

In Cassazione si dibatte sulla qualificazione del fatto: rapina aggravata o furto aggravato? Le due fattispecie si differenziano in particolare in base all’utilizzo, da parte dei soggetti, di violenze o minacce.

I giudici ricordano quindi che la nozione di violenza deve farsi rientrare nella ampia accezione tecnico-giuridica, riconducibile piuttosto all’ipotesi criminosa dell'art. 610 c.p. (“violenza privata”), e quindi in qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico. Si può quindi ben considerare violenza l’utilizzo di una falsa identità o di false divise per costringere alcuni ignari impiegati a svuotare la cassaforte di una banca.

Ricorso quindi respinto, e la pesante condanna è confermata.

Corte di Cassazione, 28389/2017


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