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Cinese offre 500 euro agli agenti per corromperli e si giustifica sostenendo di non sapere lÂ’italiano: condannato
La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 10552 depositata il 3.3.2017, esamina un caso di ricorso a una condanna ai sensi dellÂ’art.322 del Codice Penale, per istigazione alla corruzione

Durante la contestazione di un’infrazione al Codice della Strada, ha offerto 500€ agli agenti per indurli a non scrivere il verbale. Il cittadino, cinese, ha concretizzato la sua offerta estraendo 10 banconote da 50€ e poggiandole sulla scrivania su cui venivano eseguite le operazioni, invitando con ampi gesti i dirimpettai a raccoglierle.

Il Tribunale, considerate le prove evidenti e la condotta inammissibile, ha deciso per la condanna agli arresti domiciliari per mesi sei. ai sensi dell’art.322, comma 2, del Codice Penale. Contro questa decisione propone ricorso l’imputato, sostenendo in particolare di essere stato frainteso. L’incomprensione sarebbe nata a causa della scarsa dimestichezza del soggetto con la lingua italiana: il gesto interpretato come istigazione alla corruzione sarebbe stato un goffo tentativo di estinguere il debito dovuto alla sanzione pecuniaria (dell’importo di €5.000).

Inammissibile la ricostruzione fatta dalla difesa. Benché sia comprovato che il ricorrente non sappia né leggere né scrivere la lingua italiana, egli vive ormai nel paese da otto anni e gestisce insieme alla moglie un bar (il che prova una certa dimestichezza con il denaro). Inoltre parla e comprende, anche se non perfettamente, l’italiano; ciò è evidente anche dal fatto che non si affidi a un interprete per le udienze in tribunale. Schiaccianti, poi, le prove e i comportamenti che hanno accompagnato l’offerta, che oltre al denaro riguardava anche una cena gratuita per entrambi gli agenti. Insomma, veramente difficile sostenere l’equivoco linguistico laddove tutto lasci intendere che veri scopi dell’offerta riguardavano la corruzione.

Tanto considerato, la Cassazione conferma la condanna agli arresti.

Consulta la Sentenza n. 10552 del 3.3.2017, Corte di Cassazione


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