Vendita di pane parzialmente cotto

Qualora un provvedimento amministrativo abbia esaurito i propri effetti, e non sia stata presentata domanda risarcitoria, il ricorso per l’annullamento di tale provvedimento va dichiarato inammissibile, non essendo sufficiente l’interesse della parte ricorrente a voler sindacare la “portata conformativa” dello stesso, funzionale alla verifica della legittimità di una prassi aziendale, in quanto inidoneo a sorreggere l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo, secondo la disciplina recata dall’art. 34 c.p.a. (1).

In base al  combinato disposto degli artt. 14, comma 4, l. 4 luglio 1967, n. 580, e dell’art. 1 del relativo regolamento attuativo emanato con d.P.R. n. 502 del 1998, la vendita del pane parzialmente cotto deve essere posta in essere, di regola, previo confezionamento; solo in caso di impossibilità di eseguire il preconfezionamento in area diversa da quella di vendita, può eccezionalmente farsi luogo a confezionamento in tale area, “fatte salve comunque le norme igienico-sanitarie”; poiché la finalità primaria della disposizione regolante tale attività è quella di garantire l’igiene e la sicurezza alimentare, sicuramente non è conforme a tale disciplina una modalità, quale quella accertata in concreto, che consente al singolo consumatore, prima di procedere al confezionamento, di toccare il pane per poi riporlo nell’espositore, a danno dei futuri (e ignari) clienti (2).

Il Consiglio di Stato ha chiarito che neppure la disposizione che deroga all’obbligo di preconfenzionamento in area separata da quella della vendita consente la vendita di pane non confezionato: dal momento che la deroga concerne l’ubi, ma non l’an (“dette operazioni” sono evidentemente quelle di confezionamento).
La norma di chiusura è poi quella che impone comunque, nel margine esegetico dalla stessa consentito, il rispetto delle norme igienico-sanitarie.
Ha aggiunto che non possono ragionevolmente invocarsi, a fronte di un corretto inquadramento della fattispecie, dubbi relativi al possibile contrasto con disposizioni costituzionali o di diritto comunitario direttamente applicabili.
In primo luogo va osservato che l’appellante richiama (a pag. 11 del ricorso in appello) la “sentenza della Corte di Giustizia n. 146/2000”: il riferimento è erroneo, e verosimilmente riferito alla sentenza della Corte di Giustizia dell’U.E. 18 settembre 2003, in causa C416/00, Morellato.
Tale decisione ha riguardo però ad un diverso oggetto: quella della parità di trattamento del regime di preconfezionamento del pane ottenuto mediante completamento di cottura fra i prodotti nazionali e quelli importati (“L’obbligo di un previo confezionamento a cui il diritto di uno Stato membro sottopone la messa in vendita di pane ottenuto mediante completamento di cottura, in tale Stato membro, di pane parzialmente cotto, surgelato o no, importato da un altro Stato membro non costituisce una restrizione quantitativa o una misura di effetto equivalente ai sensi dell’art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE), purché esso sia indistintamente applicabile sia ai prodotti nazionali sia a quelli importati e non costituisca in realtà una discriminazione nei confronti dei prodotti importati”).
Tanto che la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con ordinanza n. 8197/2020, ha in proposito ritenuto che non sussistono i presupposti per un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in relazione al principio di libera circolazione delle merci, atteso che la CGUE “ha dichiarato legittimo sul piano unionale l’obbligo di preconfezionamento del pane a cottura frazionata, purchè esso sia applicato indistintamente ai prodotti nazionali come agli importati, e non rappresenti, quindi, un ostacolo all’importazione intracomunitaria (CGUE 18 settembre 2003, C416/00, Morellato)”.
​​​​​​​La stessa ordinanza, che il Collegio condivide e alle cui motivazioni si riporta, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni invocate nel presente giudizio (artt. 14 l. n. 580 del 1967, e 1 d.P.R. n. 502 del 1998), in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., nella parte in cui prescrivono l’obbligo di preconfezionamento per il solo pane precotto, e non anche per il pane fresco, in quanto “Per uniforme giurisprudenza costituzionale, non vi è lesione della libertà d’iniziativa economica allorchè l’apposizione di limiti generali d’esercizio corrisponda all’utilità sociale, a norma dell’art. 41 Cost., comma 2, purchè l’individuazione dell’utilità sociale non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non la perseguano con misure palesemente incongrue (ex plurimisCorte Cost. 31 marzo 2015, n. 56; Corte Cost. 21 luglio 2016, n. 203; Corte Cost. 24 gennaio 2017, n. 16; Corte Cost. 2 marzo 2018, n. 47)”.

 

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

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