Piccolo spaccio fatto in casa? Pena ridotta

Gli imputati avevano messo in piedi una vera e propria “drogheria” (non nel senso comune del termine). Le prove rinvenute durante le perquisizione non lasciano spazio a dubbi: telecamere installate all’ingresso, fogli di carta di alluminio per la preparazione delle dosi, bilancino elettronico di precisione e somme di denaro ricavate dall’attività di spaccio.

Nonostante ciò i giudici della Cassazione provvedono a diminuire la pena, che inizialmente era di cinque anni e quattro mesi di reclusione ed euro 18.000 di multa ciascuno.

Nonostante tutto lasci supporre una «stabilità dell’attività delittuosa e di un inserimento non episodico nel traffico della droga», l’ipotesi lieve non sarebbe incompatibile con l’attività di spaccio esercitata in modo continuativo. Il “piccolo spaccio” può essere anche organizzato e gestito con modalità professionali. Spetta al giudice la valutazione in fatto del livello di offensività della condotta complessiva.

I giudici concludono quindi che “nel caso in esame, la condotta dei tre imputati, per quanto organizzata, rientra nell’ambito del piccolo spaccio come sopra individuato. Nessun elemento evidenzia un inserimento degli imputati nelle attività del crimine organizzato – uno di loro risulta essere anche tossicodipendente – e le stesse sentenze di merito hanno riconosciuto la piena autonomia con cui veniva gestito lo spaccio, un’attività fatta in casa, sebbene con strumenti funzionali a tentare di ridurre il rischio di essere scoperti; tuttavia, l’aver utilizzato tali strumenti non fa venir meno il carattere di piccolo spaccio, carattere che viene desunto dalla vendita al dettaglio di piccoli quantitativi di cocaina, come dimostrato dal sequestro operato”.

Consulta la Sentenza n. 28251/17, Corte di Cassazione 

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