L’atto incompleto non è nullo

SERGIO TROVATO  – Italia Oggi Sette – In collaborazione con Mimesi s.r.l

La mancata o erronea indicazione nell’atto tributario del giudice competente, nonché delle forme o del termine per proporre ricorso, non ne comporta la nullità. Tuttavia, l’omissione delle informazioni processuali non fa decorrere il termine di decadenza per ricorrere. La nullità per l’omessa o incompleta indicazione non è prevista dalla legge. Si tratta di una semplice irregolarità, avendo la norma lo scopo di agevolare la difesa del contribuente. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza 14710 del 26 maggio 2023. Per la Suprema corte, “alla mancata o erronea indicazione nell’atto impugnabile della commissione tributaria competente, delle forme o del termine per proporre ricorso non segue la nullità di esso, ma soltanto la mancata decorrenza del termine stesso per l’impugnazione”. La nullità, infatti, “non è una conseguenza prevista dal legislatore e neppure è assistita da alcuna altra sanzione, trattandosi piuttosto di semplice irregolarità, avendo la norma come scopo soltanto quello di agevolare, sul piano meramente processuale, il compito del contribuente che voglia impugnare l’atto”. Obblighi dello Statuto ed effetti giuridici. Possono essere contestati gli atti della riscossione anche se i contribuenti non hanno impugnato gli avvisi di accertamento qualora in questi ultimi atti manchino le informazioni sulle modalità per proporre ricorso. Gli interessati, dunque, possono ricorrere contro le ingiunzioni o le cartelle di pagamento se l’ente impositore non ha indicato negli avvisi di accertamento o negli avvisi di pagamento, vale a dire negli atti presupposti, il giudice competente in caso di contestazione e il termine per proporre ricorso. In deroga alla regola che impone l’impugnazione di ogni atto per vizi propri, le mancate informazioni ai destinatari negli atti precedenti consentono il ricorso contro gli atti successivi. La Cassazione, con l’ordinanza 8082/2018, ha chiarito che l’omessa notizia nell’atto impositivo del termine per la contestazione e dell’organo innanzi al quale può essere proposto ricorso, non inficia la validità dell’atto, ma rende scusabile l’errore del contribuente. È ammessa per l’interessato la “riammissione in termini per l’impugnativa, ove questa sia stata tardivamente proposta”. Inoltre, rende corretto il ricorso avverso l’atto consequenziale (ingiunzione), anche se non è stato contestato l’atto precedente. Lo Statuto del contribuente (legge 212/2000) fissa i paletti sugli elementi essenziali che devono essere riportati negli atti impositivi per tutelare il destinatario, ma la loro omissione non è espressamente sanzionata. In effetti, la mancata indicazione del giudice competente a decidere e del termine per ricorrere non rende illegittimi gli atti impositivi. Tuttavia, pur non essendo contemplata una sanzione ad hoc, un obbligo inosservato dal fisco non può essere privo di conseguenze. Quindi l’irregolarità non inficia la validità dell’atto, ma lo rende impugnabile in qualsiasi momento, oltre il termine di decadenza di 60 giorni previsto dalla legge. Peraltro, gli effetti giuridici che ne conseguono non sono solo quelli legati all’ammissione dell’impugnazione tardiva contro il primo atto, ma a ciò si aggiunge anche la facoltà di ricorrere contro la pretesa tributaria successiva, nonostante il mancato ricorso contro l’atto precedente. Dunque, il contribuente va riammesso nei termini per proporre ricorso. Va considerata tempestiva l’impugnazione anche se proposta tardivamente o contro un provvedimento amministrativo successivo, poiché l’omissione delle notizie utili da specificare nell’atto comporta la scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente. In effetti, l’articolo 7 dello Statuto stabilisce che l’amministrazione è tenuta a fornire adeguate informazioni su tempie modalità per impugnare gli atti impositivi. Mentre, però, lo Statuto in alcuni casi prevede come conseguenza la nullità degli atti per inosservanza dei principi generali in esso contenuti, per l’omessa indicazione del giudice competente a valutare la legittimità dell’atto o del termine di decadenza per ricorrere non è stabilita alcuna sanzione. Ma è evidente che si tratta pur sempre di un’irregolarità, in quanto lo scopo della norma è quello di agevolare il destinatario dell’atto che lo voglia impugnare. La violazione deve almeno comportare una sanzione indiretta a carico dell’amministrazione finanziaria inadempiente. E per tutelare il diritto di difesa del destinatario dell’atto che non sia stato adeguatamente informato, non può essere opposta la decadenza: la pretesa fiscale è impugnabile sine die. Oltre alle informazioni di natura processuale il citato articolo 7, che è una norma fondamentale a tutela del destinatario, dispone che gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari devono indicare i presupposti di fattoe le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione di adottarli. Se nella motivazione si fa riferimento a un altro atto, questo deve essere allegato a quello che lo richiama o quantomeno deve essere riprodotto il suo contenuto essenziale. Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria. Bisogna, dunque, specificare anche il titolo che legittima la notifica dell’atto della riscossione. Elemento essenziale richiesto negli atti impositivi è la motivazione.

* Articolo integrale pubblicato sul Italia Oggi Sette del 26 giugno 2023

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