Vendita di prodotti non genuini: conta la perdita di qualità, non la data di scadenza

La messa in vendita di prodotti scaduti di validità costituisce un reato punito dal Codice Penale (art . 516 “vendita di sostanze  alimentari non genuine come genuine”). Ma questo vale – secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione – “qualora sia concretamente dimostrato che la singola merce abbia perso le sue qualità specifiche” (come freschezza e fragranza, nel caso in oggetto): difatti il solo superamento della data di scadenza dei prodotti alimentari non comporta, necessariamente, la perdita di genuinità degli stessi e quindi non è necessario per determinare che un alimento sia cattivo.
La Suprema Corte specifica, “quanto alla questione della messa in vendita dei prodotto, che la maggiore o minore durata della detenzione, e la maggiore o minore imminenza della vendita, sono irrilevanti ai fini della configu­razione dei reato di cui all’art 516 cod. pen., oggettivamente integrato dalla rela­zione di fatto tra esercente e sostanza non genuina e soggettivamente completa­to dall’intenzione di esitarla come genuina”. Quindi quello che conta non è tanto se la scadenza è già sopraggiunta, quanto il fatto che l’alimento non sia stantio, degradato o deteriorato e che poi, se non genuino, venga comunque venduto come genuino.
Nel caso specifico, il commerciante, pur consapevole che la merce era scaduta, aveva preferito continuare a tenerla esposta per i clienti: “il prodotto non genuino era chiaramente desti­nato al commercio, in quanto le due confezioni di patatine erano state acquistate dai due carabinieri, liberi dal servizio, presso il punto vendita presso lo stadio e che altre confezioni dello stesso tipo erano presenti nei punti vendita dislocati all’interno della struttura, punti vendita la cui gestione era riconducibile alla per­sona dei ricorrente”.
 
 
 
 

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